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L'IDEA, LA RICERCA, L'APPLICAZIONE

Una tecnica per rallentare la trasmissione del carico

masticatorio agli impianti senza rinunciare alla ceramica!

di Francesco Amerighi e Alessandro Annoni

Francesco Amerighi é nato a Firenze, dove vive, il 23 Gennaio 1964.

Diplomato nel 1982 presso l' Istituto per odontotecnici Cavour (Icon).

Ha lavorato per il laboratorio odontotecnico Riccardo Quattrini per circa dieci anni e ha frequentato vari corsi di perfezionamento di ceramica, fresaggio, ecc.

Da 1989, è titolare di laboratorio situato in Firenze.

Si occupa di protesi fissa in ceramica e protesi combinata, in particolare ha maturato una certa esperienza nella protesi su impianti. Ha pubblicato vari articoli e tenuto conferenze in ambito nazionale.

Collabora con “Dentsply Italia” e “Pressing” nei settori, “ricerca” e sviluppo dei materiali.

Alessandro Annoni è nato a Firenze il 30 Gennaio 1969.
Si è diplomato e ha conseguito la maturità professionale con il massimo dei voti nel 1988 presso l’Istituto Tecnico L. da Vinci di Firenze. Nel 1989 è iniziata la sua collaborazione presso il laboratorio di Francesco Amerighi dove è cresciuto professionalmente e con il quale ha collaborato attivamente alla realizzazioni di articoli e conferenze.
Nel 2001 è diventato socio-titolare (con Francesco Amerighi) del laboratorio A & A Odontotecnica s.n.c..

Ha maturato esperienza professionale specialmente in protesi fissa e su impianti con conoscenze sia per i vari materiali estetici che per i diversi tipi di metallo usati in questo settore.

Da tempo ci siamo dedicati a protesi implantologica e combinata realizzate sia in metallo-ceramica che in metallo- resina utilizzando varie tecniche di fresaggio. Le protesi vengono realizzate su articolatori a valore semi-individuale e individuale avvalendoci di materiali fra cui ceramiche a basso punto di fusione e integrali (con e senza forno per l'iniezione), resine acetaliche, compositi (Sinfony) con adesione meccanica e chimica. Inoltre ci avvaliamo di attrezzature quali "presso-fusione", " laser ", " T.I.G" , ecc.

INTRODUZIONE

Nei presupposti della scuola svedese, enunciati da Bränemark fino dal 1969, l'inserto implantare, ben integrato, deve trasferire all'osso nel quale è inserito un carico adeguato.

Superato il primo periodo in cui avviene l'osteointegrazione, le complicanze o gli insuccessi in implantologia avvengono soprattutto dopo la funzionalizzazione degli impianti e si evidenziano come perdita di ancoraggio all'interfaccia osso-impianto.

Tale evenienza, spesso preceduta da complicanze a carico dei tessuti molli perimplantari, riconosce tra le cause prevalenti il sovraccarico protesico, cioè quella particolare condizione nella quale un'occlusione non correttamente ripristinata è tale da trasmettere all'osso che circonda gli impianti sollecitazioni eccessive o mal dirette, che finiscono per compromettere la stabilità degli impianti stessi.

E' opportuno ripristinare un’occlusione corretta (Hobo, 1993), in modo che vengano trasmessi all'osso perimplantare carichi omogeneamente distribuiti tra impianti e che si eviti nel modo più assoluto che gli impianti subiscano carichi deflettenti, come gli effetti del cantilever, pericolosi per la conservazione dell ' osteointegrazione.

A tutt'oggi esistono poche indicazioni sui limiti di carico tollerati dall’osso perimplantare; con impianti inclinati o mal posti il limite tollerato diminuirà ulteriormente e, conseguentemente, le problematiche quotidiane legate alla funzionalizzazione degli impianti saranno più difficoltose.

Fra le possibili realizzazioni protesiche si può optare per un collegamento tra impianti, tramite sovrastrutture cementate o avvitate, oppure si può ricorrere ad altre soluzioni come sottostrutture fresate.

Le condizioni cui si è fatto riferimento sopra, spesso associate tra loro, possono rendere problematica la realizzazione protesica e talora mettere a repentaglio l'integrazione ossea raggiunta attorno alle fixtures.

E' importante perciò realizzare strutture protesiche corrette, in grado di trasmettere al tessuto osseo circostante e agli impianti carichi meno violenti.

La soluzione per queste problematiche richiede scelte non sempre soddisfacenti per il sistema implantare che si è scelto, qualora si ricorra ai componenti protesici disponibili presso le ditte produttrici.

Nasce così l'esigenza di operare un recupero estetico e funzionale di tali impianti ricorrendo a varianti protesiche individuali e specifiche per ciascun caso, che consentano di migliorare la forma della sovrastruttura, di rendere più semplice il suo inserimento e di garantire soprattutto la trasmissione attraverso essa di carichi più fisiologici per il mantenimento dell’osteointegrazione.

Scopo della tecnica proposta

Durante la masticazione si possono sviluppare grandi forze d'urto che diventano dannose se incontrano un ostacolo duro...

Il collegamento tra impianto osteointregato e osso consente attraverso la rigidità il trasferimento in tempi brevi (velocità) del carico (massa).

Se la forza applicata all'impianto non supera l'elasticità dell'osso si mantiene inalterata l'integrazione, ma se la sollecitazione è eccessiva o troppo violenta l'osso perimplantare può riassorbirsi o fratturarsi.

Per spiegare questi principi meccanici e fisici si riporta un'esemplificazione compiuta da Skalak nel 1983.

Indicando con M la massa che colpisce un ponte con velocità Ve assimilando l'impianto a un corpo a bassa elasticità K, avverrà che al momento dell'impatto di M, questa si fermerà in un tempo molto breve, generando una forza d'urto molto elevata.

La massa passa allo stato di quiete attraverso una forza intensa che agisce in un tempo breve, o attraverso una forza minore che agisce in un tempo più lungo.

Per ottenere questo secondo scopo si può ricorrere a resine di diversa composizione, che usate per ripristinare tavolati occlusali, consentono una riduzione della forza d'urto, in virtù del ridotto valore del loro modulo di Young.

Come effetto ci dovremmo aspettare una riduzione della distribuzione dello stress nell'interfaccia osso impianto.

Ma studi comparativi tra materiali protesici diversi, utilizzati per la costruzione di ponti fissati ad impianti hanno permesso, attraverso la simulazione tridimensionale ad elementi finiti, di capire che un ponte in sola resina aumenta lo stress all'impianto e alle strutture protesiche di connessione (viti, abutment, ecc.), rispetto ad analoghe strutture in leghe metalliche (Stegaroiu, 1998).

Ma per superare questi problemi si può ricorrere a strutture miste particolarmente elastiche e rigide nello stesso tempo ( Disegno 1).

Materiali e Metodi

La variante protesica che tratteremo si basa sul progetto di creare un'infrastruttura fresata che sia collegabile alla femmina implantare e di sostegno alla sovrastruttura. La tecnica proposta può essere approntata per impianti singoli e multipli (Foto 1-2), sommersi e non sommersi, ma può garantire il collegamento anche con elementi naturali prossimi alle fixtures

Foto 1 : Pilastri implantari nei settori latero-posteriori mandibolari.
Foto 2 : Applicazione degli abutmens

Tale sottostruttura, creata in base ai pilastri artificiali e ai denti mancanti, può intendersi:

a) un moncone (anche fresato) se l'impianto è singolo e l'edentulismo intercalare;

b) una struttura binaria se si tratta di due fixtures vicine fra loro;

c) una struttura che riunisca più monconi implantari ed eventuali elementi naturali.

Riprodotto il modello master tramite un'impronta in polietere (Foto 3), rilevata con un portaimpronta individuale che presenta dei fori in corrispondenza delle fixtures, si procede con la messa in articolatore semi-individuale dei modelli.
Dopo aver realizzato la ceratura diagnostica (Foto 4 - 5) che ci permetterà di evidenziare eventuali difficoltà realizzative del caso (posizione dei denti, dimensioni biologiche degli elementi, ecc.), si costruisce una prima struttura in metallo (Foto 6), che solidarizza le varie fixtures.

Foto 3: Preparazione del modello master.
Foto 4 : Modellatura con ceratura diagnostica: visione occlusale.

Questa è costruita in modo da garantire una buona adesione alla resina che utilizzeremo per completare la sottostruttura (Foto 7 - 8), ma anche un adattamento ottimale all'abutment implantare al quale si fissa per avvitamento.

Foto 5 : Ceratura diagnostica: visione laterale.
Foto 7 : Visione laterale della sottostruttura.
Foto 6 : Particolare della sottostruttura metallica inserita sugli abutments: visione occlusale.
Foto 8 : Altra visione laterale della sottostruttura.

Questa prima costruzione viene provata e controllata radiograficamente (Foto 9 –10 –10a).

Foto 9 : Verifica dell’adattamento in bocca del manufatto.
Foto 10a : Verifica radiografica.
Foto 10 : Verifica radiografica.
Foto 11 : Sottostruttura fresata in cera.

E’ importante verificare le varie chiusure marginali e con particolare attenzione andrà controllato che non vi siano forze tensive sulle fixtures. Se l'esito è positivo, la struttura sarà di nuovo rivestita in cera e, ricorrendo alla tecnica del fresaggio, verranno create una spalla, una parete circumferenziale e delle coulisse opposte e parallele di 0,7 - 1 mm di diametro, prestando attenzione alla posizione finale dei denti (Foto 11).

La sottostruttura deve seguire l'andamento dei tessuti gengivali, morfologicamente diversi in prossimità dell'emergenza dell'impianto alla sommità del processo alveolare.

Il manufatto viene inserito in un'apposita muffola e, realizzato lo stampo e il controstampo con un gesso di quarta classe (Foto 12), si decera e si sgrassa con l'ausilio del vapore, prima dell'iniezione della resina acetalica (Foto 13 - 14). La resina verrà iniettata con una pressione di 4- 4,5 atm. a 220°: questa fase non richiede particolare attenzione in quanto la fonditrice è completamente automatizzata (Foto 15).

Foto 12 : Particolari delle strutture inserite in muffola.
Foto 13 e Foto 14: Strutture decerate, pronte per l’iniezione.
Foto 13
Foto 15 : Iniezione della resina acetalica.
Foto 16 : La resina dopo l’iniezione.

Si ricorre a questo materiale perché presenta un'elevata resistenza alla sollecitazione, all'usura e alla rottura, è inoltre resiliente, biocompatibile (vedi nota), autolubrificato e in grado di tollerare zone di sottosquadro.

Una volta tolta la sottostruttura dalla muffola (Foto 16 - 17) si tagliano i perni di colata e si posizionano le sottostrutture in acetalica sul modello master passando alla finalizzazione della struttura, segue pertanto una seconda prova in bocca (Foto 18 - 19 -20).

Foto 17 : Particolare della resina rimossa dalla muffola.
Foto 19 : Particolare linguale.
Foto 21 :Rettifica della resina acetalica.
Foto 18 : Prova delle sottostrutture: visione occlusale.
Foto 20 :Particolare vestibolare.
Foto 22 : Lucidatura della resina acetalica.

Rimandato il manufatto in laboratorio, con estrema cura si rettificano, si lucidano, le pareti verticali, la spalla circumferenziale e le coulisse in cui alloggeranno i perni per il controllo della frizione (Foto 21 – 22 – 23 – 24 - 25).

Foto 23 :Visione occlusale delle sottostrutture rettificate e lucidate
Foto 24 e 25 : Particolare delle sottostrutture completate.
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