POLE POLE.....con l'Aiuto della Provvidenza
Suor Gemma, della Congregazione di “S. Gemma Galgani”della Diocesi di Dodoma, direttrice dell’Ospedale Missionario S. Gemma Galgani di Miyuji, risponde alle nostre domande sul suo impegno in Tanzania
TOSCANA OGGI 23 settembre 2012
Intervista a Suor Gemma Kitiku Mkondoo
Non ci deve più essere gente al mondo che muore di “povertà!"
Suor Gemma ha risposto alle nostre domande tramite email: abbiamo avuto fortuna perchè è attualmente impegnata negli esercizi spirituali e quindi ha un po’ più di tempo a disposizione, altrimenti, visto il suo impegno continuo in ospedale, avremmo dovuto attendere molto più tempo.
Suor Gemma conosce bene la nostra lingua, ma per risparmiare tempo ci ha risposto in Swahili. Ecco le sue considerazioni.
Un grazie a Paolo Siani che ha tradotto l’intervista:
Monsignor Giusti è rimasto colpito dalla vostra dedizione e dal vostro impegno, cosa significa fare la suora in Tanzania e soprattutto fare il medico?
"In Tanzania i cristiani sono circa il 40% della popolazione.
Nonostante questo non solo i cristiani, ma tutta la popolazione tanzaniana ha una grande stima delle suore".
La gente ci vede impegnate nel servizio ai più poveri, senza fare distinzioni, e quindi penso che riescano a capire la nostra vocazione anche se sono di fedi diverse.
Per questo ci sentiamo davvero missionarie, perché riusciamo ad annunciare il Vangelo attraverso la nostra testimonianza. Io come medico poi ho una responsabilità in più.
Quando facevo il mio tirocinio all’Università di Pisa alle volte ci ritrovavamo in 4 o 5 medici intorno ad un unico malato e le statistiche dicono che solo i medici di base in Italia sono 1 ogni 1000 abitanti. In Tanzania c’è un medico ogni 50000 abitanti.
Quando abbiamo iniziato il nostro ospedale ero l’unico medico, ora ho qualche aiuto in più, ma è inutile dire che dobbiamo essere sempre a disposizione 24 ore su 24».
Non posso dimenticare Zita Falleni che mi ha insegnato l’italiano e mi è sempre vicina. Poi la Parrocchia del S. Rosario con il suo gruppomissionario.
E senza dubbio il Centro Mondialità che ci procura molto materiale sanitario e cura la spedizione dei containers.
Ma anche tanti altri che in tanti modi ci sostengono.
Ho un ricordo molto bello della mia permanenza a Livorno (ero ospite delle Suore di Villa Tirrena).
Anche se chi mi conosce sa che fremevo per poter tornare al più presto dai miei malati in Tanzania».
Come possiamo da qui sostenere le vostre opere?
«Come dicevo ci mancano ancora molte strutture e l’unica nostra risorsa sono i benefattori. Ci mancano anche apparecchiature e suppellettili per ospedale, materiale sanitario di consumo, medicine, ecc..
Poi c’è il problema dei containers. Anche attualmente il Centro Mondialità ha già raccolto del materiale, ma non riesce ad inviarcelo per mancanza di fondi.
La preparazione e l’invio di un container costa più di 10.000 euro.
Inoltre avremmo bisogno di medici che mettessero a disposizione il loro servizio anche per brevi periodi presso il nostro ospedale».

Suor Gemma durante la visita di Monsignor Giusti in Tanzania
Com’è strutturato il centro dove vivete e lavorate? Quali sono i vostri bisogni?
«L’Ospedale S. Gemma Galgani di Mijuji è nato come un piccolo ospedale missionario, ma il Governo tanzaniano ci ha chiesto che diventasse Ospedale Distrettuale dato che questa zona della Regione di Dodoma non aveva questo servizio.
All’inizio quindi avevamo solo la degenza per le partorienti ed un reparto di medicina generale.
Ora piano piano ci stiamo organizzando ed abbiamo già in funzione una sala operatoria per piccoli interventi e soprattutto per poter effettuare i parti cesarei.
Abbiamo anche un laboratorio di analisi, un ambulatorio dentistico, un ecografo (l’unico effettivamente funzionante in tutta la Regione) ed a breve entrà in funzione l’apparecchiatura di radiografia.
Mancano ancora diverse strutture sia per la degenza che per la cura, oltre che molte attrezzature

Il fattore limitante sono sempre i soldi. Ma con l’aiuto della Provvidenza speriamo di andare avanti.
In swahili si dice “pole pole” (piano piano).
Passo dopo passo cerchiamo di dare risposta alle esigenze dei nostri malati».
Siete in contatto con l’Italia? Lei che ha studiato qui da noi cosa ricorda di quel periodo?
«Certamente, siamo in contatto con l’Italia.
Soprattutto con parrocchie e gruppi missionari, ma anche con singoli laici e medici. In particolare Livorno per me è sempre stato un punto di riferimento.
Quando vengo in Italia non ho mai mancato di venire a trovare i vescovi che si sono succeduti in questi anni.
Ancora non conoscevo Mons. Giusti e mi ha fatto molto piacere riceverlo in visita al nostro ospedale.


Un’immagine di suor Gemma durante il suo soggiorno in Italia, insieme a Zita Falleni e monsignor Ablondi.
Ci racconta qualche bell’episodio che le è capitato in questi anni?
«Ce ne sono tanti, come quello di circa un anno fa quando siamo riusciti a salvare una donna ed il suo bambino effettuando il primo taglio cesareo appena inaugurata la sala operatoria.
Ma l’episodo, purtroppo tragico, che ha dato una spinta alla mia vocazione di medico è successo quando ero ancora medical assistent (assistente medico) responsabile del dispensario di una missione sperduta nella savana.
Arrivò all’alba una donna trasportata dai parenti. Madre di sette figli, aveva partorito nella sua capanna.
Purtroppo aveva avuto un’emorragia e quando misurai la pressione sanguigna era prossima allo zero. Avrei saputo fare una trasfusione, ma non avevo l’attrezzatura necessaria.
Chiesi dunque a Paolo Siani (allora volontario nella nostra Diocesi), che si trovava lì per caso, se potevamo tentare il trasporto all’ospedale più vicino col suo fuoristrada.
Naturalmente disse di sì e subito partimmo per un viaggio di tre ore su di una pista piena di buche. Arrivati a soli 10 minuti dall’ospedale la donna morì. Penso che siate d’accordo con me che al giorno d’oggi non sia più accettabile che una madre di otto figli muoia perché non ha potuto usufruire di un minimo di assistenza.
Non ci deve più essere gente al mondo che muore di “povertà!"
Al termine dell’intervista, suor Gemma si rivolge così ai nostri lettori:
«Un caro saluto e un grazie a tutta la Diocesi di Livorno per quello che ha fatto e che farà per il nostro ospedale»

Il gruppo delle suore della congregazione di Santa Gemma
